Pepsi, dov'è il mio jet?

Pepsi-Cola, un concorso a premi, un jet militare e un ragazzo visionario. No, non è l’incipit di una barzelletta, ma gli elementi della storia che stiamo per raccontarvi. Una campagna di marketing passata alla storia, sua malgrado, non per la sua efficacia e genialità ma per una inverosimile diatriba legale nata a causa di una “promessa” non mantenuta. Una vicenda tanto vera quanto assurda. Capace di appassionare milioni di americani (e appassionati di marketing) e ispirare una miniserie originale Netflix di quattro puntate intitolata: “Pepsi, dov’è il mio jet?“.

“Pepsi, dov’è il mio jet?”

L’incredibile storia, come ormai avrete intuito, è ambientata negli Stati Uniti della fine degli anni ’90, anni in cui la rivalità tra Coca-Cola e Pepsi era ai massimi storici. Ma sopratutto in un contesto, quello pubblicitario, in cui denigrare apertamente la concorrenza era lecito e non c’erano virtualmente limiti alla creatività. In un contesto simile, oltre a mettere sotto contratto testimonial da milioni di dollari come Shaquille O’Neal e Cindy Crawford, la strategia di marketing predilette dalle grandi aziende come Pepsi e Coca-Cola era quello della gamification. Più nello specifico, la raccolta punti, facendo però un grosso errore di valutazione.

Nel 1996 Pepsi lancia una nuova campagna di raccolta punti in cui “prometteva” di regalare un jet da combattimento AV-8 Harrier II al raggiungimento di 7 milioni di punti. Per tutti fu preso come uno scherzo o al massimo una provocazione, ovviamente. Tutti, tranne una persona… John Leonard, uno studente americano rimasto abbagliato dal finale di quello spost in cui un giovane studente atterrava nel giardino della scuola con il suo jet da combattimento.

Un’idea da 32 milioni di dollari

Quando John Leonard guarda per la prima volta lo spot è uno studente del college sbarbato alla ricerca di un’idea per svoltare. Non avrebbe mai pensato che quell’idea potesse arrivare da una pubblicità e invece… Dopo aver guardato e riguardato lo spot, John si rende conto che quella promessa fatta da Pepsi non era accompagnata da nessuna postilla. Nessun messaggio che ne indicasse la non veridicità, e allora perché non tentare?!

John si industriò davvero per fare l’impresa, con buona pace di chi gli faceva notare che era quasi più semplice acquistare direttamente quel velivolo senza le armi per 32 milioni di dollari. Leonard coinvolse parente e amici sino ad arrivare all’alpinista milionario Todd Hoffman, arrivando quasi a tagliare il sospirato traguardo dei 7 milioni di punti. La doccia fredda arrivò poco dopo quando Pepsi, venuta a conoscenza delle intenzioni del ragazzo dichiara che “le possibilità di vincere un jet erano pari a quelle di veder trasformare la zucca in giardino in una pratica carrozza“.

La sentenza

John Leonard, coadiuvata da quello che ormai era diventato a tutti gli effetti il suo sponsor, decise di portare PepsiCo in tribunale, catturando l’attenzione di tutto il Paese. Tuttavia, la sentenza non ebbe esito positivo con la giuria che non perse occasione per denigrare il ragazzo: “Nessuna persona sana di mente avrebbe potuto concluder che lo spot potesse davvero offrire ai consumatori un jet Harrier“.

La sentenza, avvenuta nel 1999, ha fatto inequivocabilmente giurisprudenza finendo per diventare un case-study analizzato nelle università. Anche per Pepsi le cose cambiarono. L’azienda, rivale storica della Coca-Cola, non ha più ripetuto un errore simile, anzi. La storia insegna, e in occasione di una nuova campagna a premi in un videogioco, “Pepsi-Man corse subito ai ripari: alzò la cifra di bollini necessaria a settecento milioni e aggiunse nello spot una scritta che non lasciava spazio a dubbi: “è uno scherzo”.

Se solo ci avessero pensato prima…